Una splendida serata quella vissuta giorno 9 settembre 2017 dal nostro Club per l’UNESCO di Scicli in occasione della presentazione del saggio di Francesco Pellegrino dal titolo: “Scicli e il suo Duomo, San Matteo e la ricostruzione dopo il terremoto del 1693”. Un pubblico foltissimo molto intrigato ha seguito in religioso silenzio la dotta esposizione della storia della ricostruzione del Duomo di Scicli fatta con preziosi documenti d’archivio dal nostro concittadino Francesco Pellegrino, noto ricercatore presso i più importanti archivi di stato spagnoli, siciliani e della Repubblica di Malta. Il Club per l’UNESCO di Scicli, non poteva sperare occasione più mirata e propizia di questa per parlare appunto dei monumenti della città, partendo dal monumento principe, il suo duomo, infatti. Il concorso di popolo, commovente e strabiliante, vero artefice, nei primi anni del Settecento, della ricostruzione della sua Matrice monumentale necessariamente e inevitabilmente ci costringe, dopo la circostanziata disanima, a un’amara riflessione. Chi sopravvisse al terremoto del 1693 amò visceralmente la città al punto tale da volerla subito risorta e più bella di prima. Le figure carismatiche dell’arciprete del Duomo Don Guglielmo Virderi e di Gregorio Spadaro incarnarono una volontà popolare che oggi purtroppo è diventata quasi inesistente e rara. Loro hanno regalato a noi “posteri” un vero gioiello ma le amministrazioni attuali, che si sono succedute stancamente fino ai nostri giorni, quale eredità lasceranno ai figli che verranno e abiteranno questa splendida terra?
Di seguito riportiamo la nota ufficiale introduttiva del libro di FRANCESCO PELLEGRINO
SCICLI e il suo DUOMO...
Grazie
al Club per l’Unesco di Scicli, per avermi invitato, per avermi dato
quest’occasione di far conoscere parti di una mia ricerca compiuta in diversi
anni tra gli archivi di Stato spagnoli e gli archivi siciliani.
Un
grazie particolare a tutti voi, qui intervenuti, alle Autorità qui presenti.
Marc
Bloch nel suo celebre saggio intitolato “Apologia della Storia o mestiere di
storico” afferma che “il passato è, per definizione, un dato non modificabile.
Ma la conoscenza del passato è una cosa in fieri, che si trasforma e si
perfeziona incessantemente.”
E
il più antico libro di storia completo e non frammentario a noi pervenuto così
recita nel suo incipit: “ Espone qui Erodoto di Alicarnasso le sue ricerche,
perché delle cose avvenute da parte degli uomini non svanisca col tempo il
ricordo; né, di opere grandi e meravigliose, compiute sia da Elleni sia da
Barbari, si oscuri la gloria.”
Nella
seconda metà del secolo XVII e precisamente nel 1681 Mabillon pubblica il
trattato “De re diplomatica” con il quale getta definitivamente le basi della
critica dei documenti d’archivio.
Da
una parte, dunque, la non modificabilità della Storia e dall’altra l’affanno
dell’uomo di spiegare i suoi avvenimenti basandosi unicamente su documenti ufficiali
e attendibili (rogiti notarili, Bolle papali, Atti delle Curie) o su
testimonianze dirette date da personaggi fededegni (cronisti, testimoni
giurati).
Al
centro l’onore e l’onere dello storico di saper interpretare quanto più
imparzialmente possibile gli eventi di cui si occupa. Anche se Montaigne fa
delle vere e proprie riserve su questa imparzialità.
Il
vero storico sostiene il Bloch non è un giudice, non è un notaio, è una figura
intermedia che deve saper chiedere ai documenti non solo date e fatti ma anche le
ragioni della loro esistenza.
Il
mio saggio vuole soprattutto preoccuparsi di questo. Scavare dentro l’anima del
documento, interrogarlo, per conoscere le vere ragioni, a volte con abilità nascoste,
che ne determinarono la stesura.
“Scicli
e il suo Duomo” finalmente solleva il
velo d’ombra calato su di un periodo della nostra storia come conseguenza
immediata e inevitabile del sisma del 1693 che devastò tutta la Sicilia
orientale.
La
mia analisi, perciò, non poteva non partire da quel momento che io ho chiamato
l’ora X e coincide con il dies a quo della ricostruzione.
Perché,
nonostante il lunghissimo sciame sismico che seguì al terremoto, la
ricostruzione avvenne per quel periodo, davvero, in tempi brevissimi.
Nell’appendice
documentale del testo, al Doc. n. 15, riporto la trascrizione di un atto del
not. Torres.
È
una quietanza rilasciata il 24 marzo del 1710, da un murifaber sciclitano,
Pietro Lupo, in favore di Guglielmo Miccichè nella quale “l’appaltatore”
dichiarava di aver ricevuto nel 1695 dal Miccichè onze ottanta, tarì venti e
grani dieci per aver costruito quattro corpi di case confinanti tra l’altro con casa di Gregorio
Spadaro.
Questo
documento, oggi, è la notizia più antica in nostro possesso che ci consente la
sicura datazione del palazzo Spadaro al 1695. Addirittura già lo dà come
esistente, altrimenti il notaio avrebbe scritto diversamente.
Quest’analisi
è suffragata da un importante editto, emanato dal Viceré Uzeda, nei mesi
immediatamente successivi al terremoto mediante il quale le università
dovettero censire gli immobili sinistrati e quelli recuperabili, per chiedere
agli eventuali proprietari la disponibilità a ripararli o ricostruirli, pena
l’esproprio e l’assegnazione ad altro soggetto. Per molti di questi immobili,
in effetti, non si poterono rintracciare i loro veri proprietari perché periti
sotto le macerie.
Questo
illuminato provvedimento fu la vera molla della Ricostruzione. Per cui quando
il notaio nell’atto cita testualmente “casa di Gregorio Spadaro” si tratta di
un immobile o ricostruito o riparato e, comunque, regolarmente abitato.
Ecco
il vero motivo per il quale bisogna aggiornare la datazione di Palazzo Spadaro
e dell’intero Corso San Michele!
Altro
pregio di questo testo, a parer mio, è stato quello di dare finalmente un nome
e cognome all’autore della terribile cronaca del terremoto lasciata nelle
ultime pagine del libro dei battesimi della Matrice di San Matteo.
In
passato si era fatta molta confusione al riguardo, l’unico vero studioso che si
è accostato seriamente a questo prezioso documento è stato in tempi recenti il
compianto prof. Elio Militello con la trascrizione del quale la mia concorda al
novanta per cento.
Io
sono riuscito a trovare presso l’Archivio di Ragusa, sez. di Modica, atti
firmati di proprio pugno dall’Arciprete Guglielmo Virderi per cui non è più
lecito dubitare sulla paternità del documento contenuto nel libro dei
Battesimi.
Da
oggi la cronaca del terremoto è stata scritta dall’Arciprete Guglielmo Virderi.
A suffragio di quanto testé affermato, ho prodotto foto dei documenti citati.
Un
altro grande ritrovamento, di cui il testo si fregia e fa ampia menzione,
riguarda proprio la riedificazione del Duomo.
Il
libro giornale fotografa il cantiere della Ricostruzione e giornalmente ci fa
partecipi della rinascita del massimo tempio cittadino sciclitano.
Propongo
nel saggio, infatti, tutte le fasi che precedettero l’inizio dei lavori, il
computo finale con la liquidazione delle somme stanziate.
Alcuni
di questi documenti, in verità, si son potuti leggere sparsi qua e là nei vari
repertori notarili.
Il
Doc. n. 9 contenuto nell’Appendice documentale, però, è una quietanza grazie
alla quale Don Raimondo Palermo, razionale della Contea, libera gli eredi Xifo,
depositari delle somme ricavate dalla vendita all’incanto della vecchia urna
reliquiario di San Guglielmo. Erano state, infatti, queste somme destinate dai
Giurati alla ricostruzione del tempio, in ottemperanza a un decreto del
Tribunale del Real Patrimonio di Palermo.
È
un documento, questo, di uno straordinario interesse e perfettamente leggibile
perché scritto in un antico italiano.
Ci
rivela il nome esatto delle maestranze che intervennero nell’opera, indica le
cave dalle quali si cavò la pietra necessaria per la nuova costruzione, il
mezzo con il quale questa pietra fu trasportata fin sul sagrato e lì lavorata
opportunamente da un esercito di scalpellini. Testimonia il concorso di popolo,
commovente e strabiliante, frutto di una profonda e antichissima fede nel
Signore della morte che risuscita come quel popolo dal sepolcro delle sue
macerie.
Il
Santo, San Guglielmo, non solo era venerato sopra gli altari ma percepito come
cittadino senza età, privilegiato intercessore della sua gente per la Comunione
dei Santi. Quelle somme, è ovvio, non potevano bastare per portare avanti
un’opera monumentale che necessariamente seguirà la sorte di tutte le
cattedrali d’Europa trasformandosi in un cantiere perpetuo.
I
probi viri della città, stimolati opportunamente da uno zelantissimo arciprete,
costituirono il 18 novembre del 1711 presso il Not. Errera un primo Comitato
per la Fabbrica del Duomo come si legge nel Doc. n. 7 dell’Appendice
Documentale. Il Comitato fu rinnovato nel direttivo dopo la morte
dell’Arciprete Virderi e sotto il nuovo mandato pastorale dell’Arciprete
Antonino Carioti, suo successore. Siamo all’11 aprile del 1723 sempre con atto
pubblico rogato dal not. Guglielmo Errera. Quest’altro documento è riportato in
Appendice documentale al n. 11.
La
ricostruzione del Duomo dov’era ha dato vita, in seguito, a tristi vicende come
la più sciagurata, quella che riguardò la sua sconsacrazione: un gesto
sacrilego che pesa ancora come un macigno sulla coscienza del nostro popolo.
Tale
decisione qualche lato positivo però l’ha avuto. La nuova costruzione ha rispettato
all’incirca l’antico impianto del precedente tempio, conservandogli l’importante
caratteristica di Duomo “amurallado”. In effetti, l’opera di ricostruzione
riguardò lo sgombero dei calcinacci e le riparazioni di tutto ciò che era
riparabile. Il campanile che, nell’interminabile movimento ondulatorio e
sussultorio del sisma, con quasi certezza crollò abbattendosi sopra la Matrice
a causa del pesante marchingegno dell’orologio civico ospitato nella sua parte
superiore, per timore non fu più ripristinato.
L’orologio
fu sistemato, infatti, in una casupola all’uopo eretta in un angolo aggettante
del sagrato.
La
precarietà di questa struttura provvisoria probabilmente fu la vera
responsabilità del suo cattivo funzionamento.
Si
dovette contrattare un altro orologiaio perché lo mettesse in sesto e lo desse
perfettamente funzionante.
La
prima sistemazione dell’orologio fu fatta nel 1721, quando cioè la fabbrica del
Duomo doveva essere a buon punto. Si trova al n. 16 dell’Appendice documentale.
A
tale scopo, con molta probabilità, si diede mandato nel 1723 al pittore
Antonino Manoli di dipingere la pala ex voto con cui tappare la nuova arca del
santo nel suo altare in San Matteo.
La
seconda riparazione dell’orologio civico è del 23 ottobre del 1737 e si trova
al n. 17 dell’Appendice Documentale.
Nel
libro giornale troviamo anche i dettagli della costruzione della nuova arca che
fu eseguita in parte da maestranze sciclitane e in parte da bravi orafi di
Ragusa e di Sciacca.
Lo
stratagemma con il quale il massimo Consiglio cittadino riuscì a strappare il
consenso alla ricostruzione del tempio al Tribunale del Real Patrimonio di
Palermo fu davvero singolare.
Nel
settembre del 1702, Juan Tomás Enriquez de Cabrera, l’ultimo Almirante di
Castiglia, Conte di Modica, si era reso protagonista di una rocambolesca fuga
che lo portò a Lisbona anziché a Parigi, in disubbidienza alle lettere Reali
emanate dal nuovo re di Spagna Filippo V, della casa francese di Bourbon,
successo a Carlo II d’Austria sul trono di Spagna.
L’Almirante,
in verità, era fuggito in Portogallo per sottrarsi alla rappresaglia del nuovo
sovrano, partitario com’era stato dell’Arciduca Carlo della Casa d’Austria durante
la Guerra di Successione per la Corona spagnola.
Il
23 ottobre 1702 fu emanato il decreto di confisca dei beni dell’Almirante e per
questo sequestro il Cardinale Judice, che fungeva da Viceré di Sicilia, mandò a
Modica due razionali del Tribunale del Real Patrimonio per gli adempimenti di
rito. Successivamente arrivò il Nigri, un altro maestro razionale, con mandato
di governatore. Fu proprio al Nigri che il Giurato municipale propose
l’operazione a costo zero della ricostruzione del tempio finanziandola con il
ricavato della vendita all’incanto del materiale recuperato dallo
smantellamento della vecchia Arca.
Una
mossa finanziaria di una modernità incredibile.
Rispondeva,
in effetti, a una nozione molto attuale in quei secoli di liberismo economico
secondo la quale nel medio circolante della Contea di Modica si fece una
sostanziosa immissione di liquidità che aiutò, in parte, a decollare la ancora provata
e lenta economia cittadina e comitale.
Per
questo la Matrice si qualifica come il Duomo della nuova monarchia spagnola:
l’autorità del Conte era stata annullata dal reato di lesa maestà. Tutta la
contea con gli altri possedimenti siciliani degli Enriquez de Cabrera era
ritornata nello jus e nella disponibilità del legittimo mandatario: il nuovo
sovrano di Spagna.
Oltre
alla figura dell’Arciprete Virderi, il saggio necessariamente mette a fuoco le
figure di due altri grandi protagonisti della ricostruzione prima cittadina e
poi del Duomo. Non poteva non essere altrimenti.
Sono
Ignazio Iacitano, l’architetto maestro che s’incaricò della ricostruzione del
tempio.
Gregorio
Spadaro, un personaggio straordinariamente affascinante, poliedrico, dal peso
politico non indifferente.
Che
lo Spadaro fosse davvero uno degli artefici della Ricostruzione si capisce
osservando i testimoni che furono presenti al momento in cui dettò il suo
testamento qui riportato al n. 6 dell’Appendice documentale.
Il
documento fu redatto fisicamente dal canonico Biagio Mirabella che lo firmò
anche in sua vece essendo ormai Gregorio impedito forse per una paralisi alla
mano.
Al
capezzale dell’illustre personaggio troviamo, infatti, il barone Domenico
Carthia, il sacerdote Saverio Carnemolla, Scipione Castellett con Gregorio uno
degli ispiratori del primo Comitato della fabbrica del duomo, Don Giacinto
Lorefice, e tanti altri ancora, tutti personaggi votati alla causa della
Matrice. Biagio Mirabella sarà, poi, il rifondatore dell’Opera di Maria più
volgarmente nota come Il Ritiro.
L’atto
di quietanza con cui si dà liberatoria agli eredi Xifo e di cui ho già ampiamente
detto prima era stato deciso proprio da Gregorio Spadaro nella riunione per
fissare il prezzo dei formaggi il 19 marzo del 1721.
Il
7 giugno di quello stesso anno moriva l’Arciprete Virderi. Il 20 febbraio del
1720 era stato firmato il Trattato dell’Aja in virtù del quale la Sicilia era stata
ceduta, dopo secoli e secoli di dominazione aragonese e spagnola, all’Austria.
Il testo del trattato d’armistizio e di evacuazione della Sicilia è del 6
maggio 1720 ed è riportato in Appendice al n. 5.
Profondi
cambiamenti si palesavano nell’orizzonte incerto della Storia.
Nel
1727, l’ultimo giorno di quell’anno, morì Gregorio Spadaro. Con lui scomparve senza
forse il vero grande patriarca del primo Settecento a Scicli. Sarà sepolto
nella cappella di famiglia che era, invece, in Santa Maria la Piazza.
Questo
saggio, per una felice e profetica coincidenza, è stato finito di stampare il
venerdì dell’Ottava di Pasqua di quest’anno, festa di San Guglielmo.
È
dedicato ai morti del sisma, a quelli che sopravvissero, al nostro umile santo
Patrono che ancora oggi, ne sono sicuro, intercede per noi.



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